c’era una volta

C’era una volta l’ennesimo battito di cuore che si perdeva in aria perchè la persona a cui voleva esser regalato non lo voleva.

Nasceva da un cuore che non era mai stato di nessuno: il suo padrone era stato colpito da un malvagio incantesimo quando ancora in fasce aveva visto per la prima volta il mondo in cui avrebbe vissuto. Poteva amare solo l’amore impossibile, impossibile per le cause più varie, anche le più futili.

E quell’uomo dal cuore che batteva a vuoto non faceva altro che contare i giorni aspettando il miracolo, ed era arrivato a sostituire la speranza di spezzare quell’incantesimo con l’amara e calibrata consapevolezza di doverci convivere.

E poi, un giorno, forse…

Everybody hurts

Capita che poi quel filo di “sofferenza” che incide sulla tua intera esistenza diventi così costante che non ci fai più nemmeno caso.

Mi sono reso conto che lo status di sofferente cronico non è del tutto negativo in quanto destinato a destinarsi in due potenziali conseguenze potenzialmente positive: la prima è, come dicevo prima, che ad un certo punto ti ritrovi così abituato a soffrire da non rendertene nemmeno più conto, la seconda è invece che si presenti all’improvviso un evento impreventivato che uccide a colpi di pistola ben mirati la sgradevole sensazione che ti attanaglia da un pezzo.

E prima che questi eventi si realizzino inevitabilmente resta l’unica tattica di cercare di annegare il pensiero, la cura di estraniarsi da se stessi e dal resto del mondo, la strategia di auto ignorarsi pensando che alla fine c’è chi sta mille volte peggio… d’altronde basta guardarsi un attimo intorno.

Nell’attesa che si verifichi l’ipotesi numero 2, e ad un passo dal raggiungere l’avverarsi dell’ipotesi numero 1, cancello il mio respiro e fingo di non esistere.